UN CONTRIBUTO AL CONGRESSO DEL PD 

Pubblichiamo una riflessione di Carlo Riboldi, membro del direttivo carugatese, sul congresso, sul PD e la sua identità. Invitiamo a leggere e a trarre da questo documento spunti di riflessione che possa aiutare il Partito, anche a livello locale, a crescere e migliorare nei prossimi anni. 

Il congresso è un’occasione di dibattito. Approfitto per avanzare alcune osservazioni, partendo da qualche dato di realtà.
C’è una sfiducia crescente nella politica. Basta ricordarsi delle ultime elezioni (un 40 per cento che non vota, un 25 per cento che vota Grillo) per capire quanto lo smarrimento sia profondo e per rendersi conto dei rischi per la democrazia.C’è una crisi della rappresentanza. Tutti i partiti politici (chi più, chi meno) sono in crisi di legittimazione e di consensi (crollo degli iscritti). L’astensionismo ed il voto di protesta non sono passeggeri. I dati non lasciano dubbi. Di converso fioriscono sino all’inverosimile liste, sigle e personaggi in cerca di notorietà. Tutto è cambiato.
Ma io ho ancora una convinzione: la democrazia politica, quella vera, non può andare avanti senza partiti. Non c’è democrazia rappresentativa senza partiti politici. E’ una battaglia da fare.


PD: UN SOGGETTO POLITICO

Il PD si sta muovendo in un contesto pieno di sfide. E tutto ciò richiede un soggetto politico che legga con lucidità la realtà. E’ giusto non aver lasciato il paese senza Governo. Un Governo di servizio, dopo il terremoto elettorale. Alcune scelte fatte sono state positive, altre negative, altre rinviate. E’ una fase dettata dalla necessità. Ma è anche transitoria verso una situazione più normale. Ci sono ancora tappe da compiere. In primis la nuova legge elettorale. La posizione del PD, su questo tema, finora è quella del doppio turno. Ogni cambio di opinione va costruita collettivamente. Basta con le ipotesi solo personalistiche.
La situazione è complessa ed il PD, oltre a vivere le difficoltà generali del sistema, ne vive anche di proprie. E’ un partito con delle storie “pesanti” alle spalle: quella del socialismo e quella del cattolicesimo sociale. Due correnti profonde e diverse che hanno fatto l`Italia moderna. E di cui dobbiamo essere orgogliosi.
Però da questo straordinario materiale di storia e di valori non è uscito un partito più forte.
Perché? Fondamentalmente non si è riusciti a ridefinire un profilo culturale omogeneo.
Sono mancate le idee forti. E’ mancata una identità forte. Non basta il programma per definire un partito. Le divisioni e i giochi di potere dentro il PD non sono la causa, ma la conseguenza di questo deficit. Questo è il gap da recuperare.


PD: UN'IDENTITA' DA COSTRUIRE 

Nel PD convivono interpretazioni diverse dei valori su cui fonda la sua visione del mondo e della società. Le parole libertà, eguaglianza, solidarietà, pluralismo sono declinate in modo diverso a seconda delle origini di provenienza. Questo ha portato e sta portando a generare equivoci ed incomprensioni. Non si è riusciti a vivere con maturità il pluralismo culturale insito nelle due esperienze e ad una loro possibile evoluzione comune. C’è qualche confusione nel linguaggio e nella sintassi. Questo rende complicato trovare punti di sintesi.
Oggi il tema centrale su cui costruire l’identità del PD è la lotta alle diseguaglianze in tutte le sue forme: nel lavoro, nel reddito, nel sapere, nel potere. Ma tradurre in concreto questa battaglia non è facile. Non esistono ricette semplici per redistribuire il reddito. Ancora più complicato trovarle per redistribuire il lavoro.
E’ un cammino tortuoso, che implica una discussione vera e comporta la fatica del confronto. Ma che bisogna fare. Meno personalismi, meno pressapochismi, magari solo per apparire, e più elaborazione di squadra. Non esistono scorciatoie. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.


NON FACCIAMOCI FARE IL CONGRESSO DAI GIORNALI

Nella società della comunicazione come la nostra, tutta la discussione politica finisce per essere strumentale all’apparire, piuttosto che al costruire idee e progetti.  L’effetto vetrina può soddisfare l’ego dei singoli, ma non fa fare un passo avanti all’insieme. Ciò che non condivido poi, è che il dissenso si trasformi in un continuo chiamarsi fuori dalle decisioni collettive.
L’esercizio dell’attività politica deve essere servizio al paese, e non una semplice occasione per affermarsi. Quando si partecipa alla vita di un partito, sale il tasso di libertà, ma anche di responsabilità.


IL PD: UN'ORGANIZZAZIONE COLLETTIVA CHE PUNTA AL CAMBIAMENTO

Il partito è una associazione libera e volontaria, non la prescrizione di un medico. Ma quando ci si mette insieme, si crea un vincolo di partecipazione, che è insieme un diritto ed un dovere.
Diritto a partecipare, a dire la propria, a confrontarsi con le idee altrui ma, una volta finita la discussione, farsi carico dell’esito del confronto. Non solo libertà d’espressione, ma condivisione delle scelte decise a maggioranza. L’idea che la libertà è non accettare la decisione collettiva che è adottata dall’insieme dei partecipanti, è alquanto singolare ( vicenda elezione Presidente della Repubblica da Marini a Prodi).La libertà non può essere disgiunta dal dovere e dalla responsabilità. Il partito non deve essere una caserma, ma neanche un’osteria od un pub.
Il PD deve essere fattore di cambiamento culturale. In un paese dove buona fetta degli elettori considera tollerabile quel che tollerabile non è, chi fa politica non deve accettare queste opinioni in modo passivo. Non deve rassegnarsi. Ma reagire e sviluppare una lotta culturale contro questo senso comune. Da noi si guardano di più i sondaggi che i problemi da risolvere. Occorre costruire comunità condivise, occorre stare insieme per scambiare opinioni e discutere sui fondamentali della società moderna. Il mondo non è riducibile alle TV , ai talk show, ai messaggi, ai messaggini su internet e telefonini.
Oggi c’è un difetto di partecipazione e di messa in comune dei saperi e delle conoscenze. Occorre pertanto creare luoghi ed occasioni di partecipazione e di riflessione. Senza riflessione e conoscenza non ci sono azioni concrete conseguenti. Questo deve essere il PD.


PD:UN CAMBIO DI PASSO 

L’identità di un partito ha bisogno anche di un modello organizzativo esplicito.
Un partito radicato nei territori che faccia perno su militanti ed attivisti motivati, con forti idealità. Che faccia della formazione di qualità, che curi e sviluppi le competenze dei propri rappresentanti nelle istituzioni. Un partito che discuta, che si apra e solleciti i contributi di riflessione del mondo associativo esterno. Un partito a rete in cui i vari circoli dell’organizzazione, siano sensori delle domande sociali ed organizzatori di iniziative. Circoli che puntino ad aiutarsi ed a sviluppare una emulazione competitiva. Imparare da chi fa meglio non è una cosa negativa. Agire sempre come una leadership collettiva, non riducibile al solo segretario pro tempore. A tutti i livelli.
Ci vuole un partito che sappia essere distinto, anche se non distante, dalle funzioni di governo. Essere, cioè, una presenza organizzata che intercetta le domande provenienti dalla società, se ne fa interprete nei confronti delle istituzioni e ne controlla l’operato.
Il Pd non può rimanere fermo. Ma come si può procedere ad un ricambio generazionale, della sua classe dirigente e del suo personale politico, animato da donne e giovani? Come realizzare questo ricambio? Partire innanzitutto dalle qualità espresse sul campo: grande motivazione , forti idealità, voglia di impegnarsi per gli altri, competenze e voglia di imparare. Su questi criteri si dovrebbero selezionare i responsabili PD nei circoli di territorio e la modalità di elezione deve essere ricondotta a regole certe di democrazia interna, partecipata e trasparente.
Ora una considerazione sulle primarie. Nel loro significato originario le primarie riguardano la selezione di un candidato ad una carica pubblica monocratica, mentre nel Pd si riferisce pure all’elezione del suo segretario. E nel nostro caso si fanno due tipi di primarie, quelle chiuse e poi quelle aperte (caso inedito nel panorama mondiale). C’è la possibilità quindi che si producano due diversi vincitori, con due diverse legittimazioni ed a quel punto, si aprirebbe uno scenario fino ad oggi sconosciuto.
Oltre a ciò, esprimo un parere controcorrente sulle modalità dell’elezione del Segretario nazionale, utilizzate ormai da troppo tempo nel PD. Io sono convinto che la crisi della rappresentanza non si risolva con le primarie. Anziché guardare la luna si finisce per guardare il dito che la indica. C’è l’illusione che, passando la palla agli elettori, si riesca a dare l’impressione di assecondare le loro preferenze, avvicinandoli al partito. E’ lo stesso errore che si fa in quella parte di sindacato, laddove si privilegia il parere di tutti i lavoratori a scapito degli iscritti, che sono gli unici a rendere possibile l’attività del sindacato. Le primarie non sono il fine, ma solo lo strumento. E uno strumento funzionale a far partecipare e scegliere. Non è la panacea di tutti i mali.

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