In queste ore successive al
referendum che ha visto la larga vittoria del NO, occorre fermarsi e riflettere. Lo scenario ci lascia un futuro incerto per
il nostro paese, che con la presa d’atto del risultato e le dimissioni da parte
del presidente del consiglio Matteo Renzi, si trova oggi ad affrontare
nuovamente una crisi di governo. Crisi complessa, e non di facile risoluzione perché
l’aspra campagna referendaria ha di fatto spaccato il paese e le principali
forze politiche presenti oggi in parlamento, confidiamo naturalmente nella
saggezza del presidente Sergio Mattarella che come previsto dalla nostra
costituzione ha il compito di gestire nell’interesse generale dello stato
questa fase politica.
L’ Italia è comunque una grande democrazia e
sicuramente anche questa volta saprà trovare la strada giusta per ripartire.
La vittoria del NO ci deve
lasciare però ad un’ampia riflessione su tutti i fronti, in questi momenti soprattutto
per chi si è battuto per far prevalere il SI durante la campagna elettorale è
naturale che in un certo qual modo prevalga un sentimento di sconforto, delusione,
ma proprio è proprio da questo sentimento che deve partire la riflessione, ovvero,
occorre chiedersi come mai sia prevalso l’immobilismo rispetto alla possibilità
di un reale cambiamento.
Storicamente chiunque ha provato
in questo paese a modificare l’architettura istituzionale dello stato ha fallito,
tant’è che per certi versi l’Italia appare agl’occhi di tutti irriformabile, ci
hanno provato in molti e ampie maggioranze anche in passato, ma nessuno mai è
riuscito nell’ambito compito di rendere più moderne ed efficienti le nostre
istituzioni. La campagna referendaria non è entrata davvero e fino in fondo nel
merito della riforma, si è inevitabilmente scatenata, una battaglia identitaria
e di personalismi, anche in parte per colpa del presidente Renzi, che ha di
fatto coalizzato il corpo politico ed elettorale in due fronti pro governo o
contro, e non pro o contro riforma.
In questi mesi ne abbiamo sentite
di ogni, da avventi di possibili regimi autoritari, ai risparmi ballerini dai 5
ai 500 milioni fino ad arrivare alla questione di parlamenti illegittimi e ai
premier non eletti, e poche volte vi sono state serie ed argomentate
discussioni del merito della riforma, ne consegue che il voto della scorsa
domenica è stato un voto a tutti gli effetti politico, i cittadini hanno consegnato
al governo a guida del partito democratico un chiaro segnale, un disappunto
sulle politiche messe in campo negl’ultimi mille giorni dallo stesso. Occorre
allora chiedersi come sia possibile che l’elettorato abbia bocciato l’azione di
un governo che nel bene e nel male ha messo in campo diversi provvedimenti nel
campo sociale, del lavoro, economico, ambientali ecc e che dopo molto tempo hanno
consentito al nostro paese di tornare seppur in lieve misura al segno +.
La bocciatura risiede allora in
altre sedi e forse sta nella parola “cambiamento” di cui Matteo Renzi fin dai
tempi della “rottamazione” di quella che definiva vecchia politica, è stato ed
è tuttora portatore, al popolo forse questo governo di centro e di sinistra
nato con l’obiettivo di fare le riforme e di cambiare il nostro paese è apparso
forse troppo vicino ai centri di poteri, al mondo degli affari, come appunto la
precedente classe dirigente, e meno vicino ai cittadini e all’economia reale
che nonostante tutte le giuste misure economiche prese ad esempio con le
politiche dei “bonus” (dagli 80 euro in poi) la riduzione delle tasse, il jobs
act, tuttora subisce i lasciti della devastante crisi economica 2008-2014 dalla
quale sembrerebbe si stia oggi finalmente uscendo.
Non stupisce quindi che gli studi
dei flussi elettorali post referendum indichino che il voto dei giovani e dei
cittadini del sud sia in prevalenza NO, è innegabile infatti che in questo
paese vi siano ancora aperte importanti questioni di tipo generazionale, di
divario economico tra nord e sud, del lavoro precario ed altre, per le quali
evidentemente ci si aspettava maggiore risposta. La riforma costituzionale se approvata poteva
essere un punto di partenza per iniziare a lavorare e affrontare ancor di più quest’ultimi
problemi, con la stessa infatti si venivano a creare spazi di risparmio, si
riorganizzavano le competenze delle istituzioni, si portavano in parlamento le
istanze dei territori, luoghi dove emergono davvero le vere condizioni di
disagio sociale.
Purtroppo si è persa un’occasione
ma l’espressione di voto dei nostri concittadini va rispettata e accettata,
tuttavia per chi di noi fa parte della comunità del partito democratico, forza
riformista che ambisce fino dalla sua nascita ad un Italia, ma aggiungerei oggi
ad Europa, più moderna, più equa e giusta la sfida per il cambiamento non si
deve affatto fermare. Questa sconfitta deve essere il punto di partenza per
tornare a provarci, per provare ad immaginare nuovamente un futuro migliore,
facendo mea culpa sugli errori commessi, dialogando con altre forze,
personalità e competenze.
Su quest’ultimo aspetto giudico
positiva l’esperienza civica del comitato basta un sì Carugate, al quale ho
partecipato, e che ha raccolto consensi e la partecipazione di oltre 50 persone
provenienti da diversi ambiti ma che avevano un obiettivo comune, ovvero quello
di provare tutti insieme a cambiare il nostro paese.
Occorre infine prestare molta
attenzione perché questo esito elettorale dimostra come il “cambiamento” sia
allo stesso modo nemico del “cambiamento”, questo per dire che non basta
evocare semplicemente questa parola, ma alle parole e alle intenzioni devono
seguire, fatti, azioni concrete, misurabili e valutabili direttamente dai cittadini in una visione di
governo non di breve ma di lungo periodo, tanto nella dimensione nazionale come
in quella locale/comunale, il rischio altrimenti è quello che il fronte NO e
del populismo prevalga sempre sulla politica e sulla volontà espressa da oltre
13.000.000 di cittadini, (che hanno espresso il loro SI,) di mettere in moto
tutte quelle forze necessarie per garantire al nostro paese un buon governo ed un futuro
migliore.
Davide Di Staso
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